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MASCHERINE: GUIDA ALL’ACQUISTO

Da settimane, sono uno degli argomenti di discussione più dibattuti sui social e non solo.

Eppure ancora oggi c’è molta confusione sull’argomento “mascherine”.

Da domani martedì 14 aprile 2020 in tutto il Veneto sarà obbligatorio fino al 3 maggio utilizzare le mascherine per poter uscire di casa. 
Immaginabile quindi che chi non ha ancora provveduto a dotarsi di una mascherina, debba iniziare seriamente a pensarci. 

Ho provato così a raccogliere un po’ di informazioni e a fare un sunto compilando una sorta di “Guida all’acquisto e all’utilizzo della mascherina“. 

Iniziamo allora a vedere quali sono i diversi tipi di mascherine a disposizione e quali sono le principali differenze tra esse:

  1. Mascherine semplici

    E’ la categoria più eterogenea e generica. Di questo gruppo possono far parte sia qualsiasi tipo di mascherine fatte in casa, con tessuti di vario genere (sciarpe comprese) sia le mascherine prodotte a livello “industriale” in deroga alle vigenti disposizione di legge (come indicato nel Decreto Legge 17 marzo 2020). 

    In senso lato, per mascherina semplice si potrebbe intendere anche una sciarpa, un foulard, un fazzoletto di stoffa, una bandana o più in generale qualsiasi copertura artigianale auto-prodotta utile a coprire il volto. La stessa ordinanza della Regione Veneto specifica che per uscire di casa è obbligatorio munirsi di mascherina o di “un idoneo dispositivo per la copertura di naso e bocca”.

    Le mascherine semplici hanno lo scopo di proteggere soprattutto gli altri, riducendo in qualche modo la quantità di droplet (goccioline di saliva nebulizzata) immesse nell’aria. 

    Tali prodotti per la loro destinazione non si configurano come Dispositivi Medici e non sono pensati per l’utilizzo in ambito sanitario professionale. Per questo motivo non devono rispettare le norme che invece le altre tipologie (le mascherine chirurgiche e i respiratori facciali) devono rispettare. Non necessitano pertanto di marcatura CE, ma è sufficiente che il produttore garantisca che le mascherine non arrechino danni o determino rischi aggiuntivi per gli utilizzatori secondo la destinazione d’uso prevista dai produttori stessi (circolare Ministero della Salute del 18/3/2020 n. 3572).

    In questa categoria, rientrano anche le mascherine lavabili, principalmente di tessuto sintetico, cotone o multistrato, che si propongono come barriera “filtrante”, ma non provviste di certificazioni (anche se in attesa di validazione).

    Come suggerisce il sito di Altroconsumo queste mascherine “possono sicuramente frenare gli schizzi più grossolani o evitare che i nostri starnuti finiscano addosso agli altri, ma vanno prese per quello che sono: una barriera fisica elementare, un “di più” che non deve farci abbandonare in alcun modo la regola della distanza.”

  2. Mascherine chirurgiche

    Sono quelle mascherine pensate per un uso medico, rettangolari fatte di tre strati di tessuto-non-tessuto plissettato che si indossano sul volto grazie a un nasello, elastici o lacci.Devono soddisfare alcuni requisiti tecnici stabiliti per legge e passare alcuni test specifici che verificano se la mascherina sia in grado di bloccare le goccioline contaminate da virus e batteri.

    Le mascherine chirurgiche di utilizzo comune in ambito sanitario sono “monouso” e generalmente vanno cambiate dopo circa 4-6 ore di utilizzo (o comunque quando il tessuto appaia eccessivamente inumidito).

    Devono avere il marchio CE, anche se il decreto Cura Italia ha introdotto alcune deroghe temporanee alla normativa per aumentare la disponibilità di questi prodotti.

    Attualmente si possono vendere in modo lecito anche prodotti che non hanno seguito l’iter ufficiale dei test ma corredati dalla sola autocertificazione inviata all’Istituto Superiore di Sanità, sotto la propria esclusiva responsabilità, attestando le caratteristiche tecniche delle mascherine e dichiarando che le stesse rispettano tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa.

    In questa categoria, rientrano anche alcune mascherine lavabili prodotte a livello industriale ed autorizzate all’immissione in commercio. 

    Sebbene la loro vendita sia consentita per legge, va ricordato che non possono essere considerate mascherine di protezione ad uso medico fintanto che non vengano autorizzate dall’Istituto Superiore di Sanità.

    Le caratteristiche di qualità tessile o di impermeabilizzazione particolari non giustificano un prezzo più elevato della media di mercato se non corredate da una certificazione specifica che ne dimostri la reale efficienza protettiva.

    In ogni caso, per tutti questi dispositivi, che siano certificati o autocertificati, va sottolineato che non proteggono chi le indossa, ma le altre persone.

  3. Maschere filtranti

    Detti anche respiratori o filtranti facciali per la protezione individuale (da cui FFP).

    Si chiamano filtranti perché sono mascherine che sono realizzate in modo da bloccare il passaggio di particelle di dimensioni estremamente piccole, dell’ordine del mezzo micron, impedendo a chi le porta di inalarle. Sono dispositivi che bloccano a tutti gli effetti eventuali aerosol infetti da virus, ma anche fumi pericolosi, fibre e polveri.

    Queste FFP sono i veri e propri dispositivi di protezione individuale (DPI) e infatti devono rispettare una normativa rigorosa. Queste mascherine hanno l’obbligo di marcatura CE e di riportare oltre al marchio CE anche il codice di quattro cifre che individua l’ente notificatore.

    L’efficacia filtrante viene indicata con sigle FF da P1 a P3 a seconda della capacità crescente di protezione.

    In ambito sanitario vengono usate le FFP2 e 3, che hanno un’efficacia filtrante rispettivamente del 94/95% e del 99% e sono le più indicate per bloccare i virus.

    La capacità filtrante della mascherina non è però infinita: dopo qualche ora di utilizzo il tessuto perde di efficacia, anche se la capacità filtrante non si annulla del tutto.

    Se sono monouso, queste maschere vanno gettate dopo un turno di utilizzo o dopo un determinato numero di ore (generalmente otto ore).

    Questi dispositivi possono avere anche una valvola di espirazione (che facilita la vita a chi la usa in ambito medico). In questo caso però proteggono chi le indossa ma non viceversa, perché l’esalazione non è filtrata. Per questo motivo le maschere filtranti facciali con valvola sono da destinarsi all’uso sanitario nei reparti dove sono ricoverati casi infetti per la protezione degli operatori.

    Su Wired.it ho trovato un’ottimo riepilogo sull’utilizzo di mascherine FFP2 o 3 che, vista la completezza delle informazioni, riporto integralmente:

    “Se solo Ffp2 e Ffp3 sono ritenute idonee a proteggere dagli agenti patogeni a trasmissione aerea, più che distinguere per percentuale di filtraggio ha senso sottolineare la differenza tra i modelli che prevedono la valvola e quelli che non l’hanno.

    La funzione della valvola è consentire all’aria calda che viene espirata di uscire dalla mascherina senza particolari ostacoli, con l’obiettivo di rendere meno faticoso il tenerla indosso a lungo.

    Grazie alla valvola, infatti, il calore viene più facilmente disperso verso l’esterno, non si accumula umidità e quindi vengono scongiurati problemi di condensa o di appannamento degli occhiali. La valvola non compromette la capacità filtrante dall’esterno verso l’interno (al 94% o al 99% a seconda del modello), ma è evidente che proprio “by design” fa venir meno la funzione di filtro dall’interno verso l’esterno.

    Detto altrimenti, le Ffp con la valvola di espirazione proteggono molto bene chi le indossa, ma non le persone intorno.

    Non a caso, infatti, questa tipologia di mascherina è adatta (anzi, ideale) nel caso degli operatori sanitari, che stanno a distanza ridotta da pazienti certamente infetti e che hanno la necessità di mantenerla consecutivamente per interi turni di lavoro senza mai scostarla dal viso. Fanno insomma parte dei veri e propri dispositivi salvavita per medici e infermieri, e in linea teorica dovrebbero essere monouso e comunque cambiate dopo qualche ora (al massimo 10, meglio 6) di utilizzo.

    Per i cittadini in generale, invece, il loro impiego è fortemente sconsigliato, sia perché l’uso diffuso determina un’ulteriore carenza di disponibilità per chi ne ha davvero bisogno (in ospedale), sia soprattutto perché una Ffp con la valvola consente comunque a chi la indossa di spargere il virus e infettare gli altri, facendo venire meno lo scopo principale per cui in alcuni contesti si consiglia a tutti di indossare una mascherina.

    In modo un po’ brutale, ma certamente chiaro, la Ffp con la valvola indossata da persone sane o potenzialmente infette (sintomatiche o meno) è detta sempre più spesso la mascherina da egoista.

    Un comportamento virtuoso sarebbe quello di non comprarle, né tantomeno usarle.

    Le mascherine FFP senza valvola sono meno egoiste delle precedenti, perché almeno svolgono una funzione di filtro pure dalla bocca verso l’esterno e quindi proteggono anche chi sta intorno.

    Tuttavia, in questo caso esiste un problema non trascurabile di comfort: l’umidità e il calore tendono ad accumularsi all’interno della mascherina, determinando una respirazione molto più faticosa già qualche minuto dopo averla indossata.
    Chi ha qualche sintomo respiratorio e dunque è potenzialmente più contagioso, tipicamente non riesce nemmeno a indossarle.

    Nella pratica, se per gli operatori sanitari l’assenza della valvola può trasformare un turno di lavoro in un inferno (ma almeno si è protetti), per i non professionisti questa difficoltà d’uso si traduce spesso nello scostare la mascherina per prendere aria o nell’indossarla in modo che l’umidità possa in qualche modo fuoriuscire. Il risultato, evidentemente, è che tutto l’agognato potere filtrante ne risulta compromesso, e di fatto non si ottiene una protezione migliore per sé e per gli altri rispetto a quella garantita da una mascherina semplice.

    Anche gli utilizzatori che resistono stoicamente al caldo umido e alla difficoltà nel respirare dovrebbero comunque tenere conto che – proprio per colpa dell’umidità – dopo qualche ora di utilizzo la mascherina Ffp andrebbe in ogni caso cambiata (e mai indossata più di una volta), poiché il suo potere filtrante degrada fino a renderla paragonabile a una mascherina semplice ma nuova.

    Anzi, in un supermercato o in altri contesti non ospedalieri si ritiene che una mascherina semplice monouso garantisca di fatto una protezione migliore rispetto a una Ffp riutilizzata e magari ripulita con tecniche fai da te.

    Da un punto di vista di mercato, inoltre, le Ffp senza filtro sono molto più costose rispetto alle mascherine semplici e a quelle chirurgiche, e sono anche molto meno disponibili.

    Lasciarle per gli operatori sanitari, quindi, è un gesto altruistico e che fa anche bene al proprio portafogli.”

 

Per far fronte all’elevata richiesta di mascherine in seguito all’emergenza sanitaria, è stato concesso agli importatori di far arrivare in Italia anche dispositivi FFP non corredati dal marchio CE in deroga alle normative di legge. 

Tuttavia, in questi casi è stato fatto obbligo per gli importatori di dare comunicazione all’INAIL con una autocertificazione (qui le indicazioni ufficiali per fare la richiesta di importazione di DPI in deroga) nella quale, sotto la propria esclusiva responsabilità, si attestano le caratteristiche tecniche dei citati dispositivi e si dichiara che gli stessi rispettino tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa. 

Oltre all’importazione, ci sono state anche numerose aziende italiane che si sono riconvertite nelle linee di produzione e hanno fatto richiesta in deroga all’INAIL per la commercializzazione di dispositivi di protezione individuale.

Tuttavia, alla data del 5 aprile, INAIL rilevava che su un totale di 840 pratiche processate dall’Istituto ne erano state approvate soltanto 35 (circa il 4%), quasi tutte presentate da importatori.

Il restante 95% era stato valutato con giudizio di non conformità.

Nella maggioranza dei casi (il 43%) le richieste riguardavano prodotti non valutabili come DPI, prodotti configurabili come simil-mascherine chirurgiche, eventualmente valutabili dall’ISS, e prodotti già marcati CE, per i quali non è necessaria la validazione dell’INAIL.

Più della metà delle richieste invece erano relative a prodotti che non garantiscono i requisiti di qualità e sicurezza per la protezione di lavoratori e operatori sanitari.

Relativamente a questo punto, vogliamo sottolineare un aspetto molto importante sulla certificazione di questi dispositivi di protezione: poichè sono mascherine destinate prevalentemente ad un utilizzo professionale da parte del personale sanitario, è fondamentale che questi dispositivi siano effettivamente in grado di espletare le loro funzioni di protezione.

Purtroppo, con la diffusione globale dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, la domanda di questi dispositivi di protezione individuali (DPI) si è alzata a livelli difficilmente sostenibili dall’offerta attuale, permettendo a truffatori e personaggi senza scrupoli di entrare facilmente nel mercato.

E’ notizia di questi giorni che siano state messe in circolazione molte mascherine con certificati di conformità non validi (alcuni certificati non regolari sono stati pubblicati e diffusi in rete su questo documento).

Per contrastare la diffusione di mascherine “illegali”, il sito di Accredia, ente italiano autorizzato dal governo  ad attestare gli organismi di certificazione e il sito dell’ESF (European Safety Federation), organizzazione senza scopo di lucro che raggruppa le associazioni nazionali di produttori, importatori e distributori di dispositivi di protezione individuale in Europa, hanno pubblicato alcune utili informazioni su come riconoscere i certificati validi da quelli falsi.

Per questo, è opportuno che anche chi vende al pubblico queste mascherine valuti con attenzione la provenienza e la documentazione fornita dagli importatori per tutelare al massimo la sicurezza degli utilizzatori finali: dispositivi FFP contraffatti o non sufficientemente garantiti dalle dovute certificazioni oltre ad essere un illecito commerciale potrebbero mettere a rischio anche la vita stessa di medici e infermieri che usassero dispositivi non idonei. 

Un prezzo di mercato particolarmente conveniente (la media dei prezzi in Italia in questo momento per le ffp2 si aggira tra i 7 e i 10 euro) o una insolita disponibilità di questi dispositivi di protezione individuale dovrebbero indurre sia i consumatori finali che i rivenditori alle opportune verifiche sulla sicurezza e lecita provenienza delle mascherine.

 

Dott. Francesco Fratto
Titolare della Farmacia Dott. Fratto
Portogruaro (VE)